Sono andata a raccontare un po’ delle belle cose che sto facendo ai miei ex colleghi bilbiotecari della Lombardia grazie agli amici dell’AIB che mi hanno invitata a tenere questo corso qui http://bit.ly/1BV7uZu.
Abbiamo giocato tanto e poi ogni tanto io dicevo anche qualcuna di queste cose qui
[Disclaimer: riapro il blog dopo Nmila mesi in cui sono successe tante cose e mi trovo questa bozza. Mi viene voglia di completarla e lo faccio, l’esperienza che volevo raccontare rimane bellissima e merita]
Nonostante io sia una MOOC addicted non ero mai riuscita a portare a termine un MOOC.
Qualcuno l’ho mollato per mancanza di tempo, molti perchè sapevo essere a un livello di conoscenze superiore al mio, altri (uno solo a dire il vero) perchè mi sembravano fatti male finchè…il 7 maggio…eccolo!
Mooc statement of accomplishment
Dopo 8 settimane sono arrivata all’esame finale di Social Network Analysis con Lada Adamic. Sebbene il corso non prevedesse particolari pre-requisti per me è stata una sfida non da poco. Un MOOC a grandi linee funziona così. Ti iscrivi, è gratis, il percorso è strutturato in video lectures con dei quiz di comprensione, un homework a settimana, un esame finale. L’impegno che ci ho messo è stato di circa 6-8 h a settimana, non poco considerato che nel frattempo attorno a me succedeva di tutto.
Intanto vi dico due cose sui MOOC perchè mi sono accorta che in tanti ancora non sanno cosa siano (comprensibilissimo visto che si tratta di un fenomeno nuovo). Sciogliendo l’acronimo già si capisce molto: MOOC vuole dire massive open online courses ovvero corsi aperti massivi cioè rivolti a un gran numero di persone, parliamo di alcune migliaia di persone sparse nel mondo. Ma per sapere qualcosa di più sui MOOC vi consiglio di prendervi un po’ di tempo e seguire questo webinar. Per rimanere sempre aggiornati invece ecco una bella raccolta di articoli sul tema.
Ma torniamo alla mia esperienza. Ho pensato tante tante volte di mollare. Tra l’inglese che non è così fluente, la matematica che non è il mio forte (e vogliamo parlare delle mie inesistenti basi di statistica?) e poi il fattore più critico di tutti: il tempo. Se fai una cosa che ti assorbe così tante ore alla settimana, che ha scadenze fisse che non puoi bucare, se le ore sono limitate allora deve intervenire un forte fattore motivante (le percentuali di abbandono di questi corsi sono altissime). E qui c’è stata per me la vera sorpresa del corso. Non ho trovato tanto la motivazione in me quanto al di fuori di me: nella community che si è aggregata intorno al corso.
Premesso che:ufficialmente il corso è senza prerequisiti (ma diciamo che non è alla portata di tutt*) e che sono previsti due percorsi: il “for dummies” e quello con l’opzione di programmazione (indovinate quale ho scelto?), che molte delle persone che lo frequentano non sono digiune della materia anzi! (il nome di Lada Adamic non è proprio sconosciuto nel settore) non è stato facile entrare nei forum o nel gruppo Facebook di autoaiuto (si chiamano study group ma io li ho usati con uno stile alla Alcolisti Anonimi) e dire: “ok siamo in migliaia qui dentro, io sono alla seconda lezione e non capisco nulla, sono la più scema del villaggio (globale)?”
E incredibilmente è emersa dalla community il sostegno, il “non mollare che anche per me i Logaritmi (lo scrivo con la maiuscola perché sono per me un’entità suprema e inconoscibile) sono stati una sfida”. Così ho continuato, partecipando attivamente alla vita della community online (soprattutto del gruppo Facebook), servendomi dei pari non tanto per un aiuto “tecnico” quanto per un supporto motivazionale. E postando screenshot di quello che facevo al computer mi sono sentita in un gruppo di pari, forse in quella che Mafe DeBaggis chiamerebbe tribù.
Cosa ho imparato da questa esperienza? Beh incredibilmente l’esito più prezioso non è stato solo acquisire delle competenze di base di Social Network Analysis ma (viva la serendipity!) portarmi a casa una lezione sulle dinamiche di community ottenuta con una sorta di metodo Stanislavskij 🙂
Lessons learned:
non costringere le persone nelle community ufficiali ma dare loro la possibilità, anzi incentivare la creazione di gruppi più piccoli riuniti attorno a un microinteresse specifico (sotto-tribù legate a un social object più piccolo rispetto a quello emerso inizialmente)–> es: il social object della community è la social network analysis, del gruppo cui partecipavo io erano le indicazioni pratiche per aiutarsi a studiare meglio da neofiti. Altri gruppi e forum legavano invece sottotribù attorno alle esigenze di programmazione. La lungimiranza dei creatori è stata nel non costringere tutti nel forum ufficiale all’interno della piattaforma, ma nell’incentivare le forme di auto-organizzazione che però generavano comunque valore e potevano venire tracciate grazie al suggerimento di usare degli hashtag condivisi
misurazione del successo; parlavo recentemente con Paolo di come stia emergendo la tendenza da parte dei committenti a chiedere ai community manager di fare fluire una community entro il rigido spazio predisposto dall’azienda. Insomma portarsi la community in casa, non parlo solo dello spazio su Facebook ma proprio in qualche cosa di proprietario perchè così si può misurare. Come questo sia un abominio in termini di dinamiche di community mi sembra evidente. Meglio un bel gregge di utenti silenti o che vanno stimolati con una sorta di accanimento terapeutico e che stanno nel tuo spazio o pochi ambasciatori-evangelisti che stanno dove pare a loro e che si prendono la briga di scrivere di te e di raccomandarti caldamente? Per inciso se Coursera mi avesse chiesto di scrivere un post come quello che sto scrivendo sul loro spazio non so se l’avrei fatto, ma dò loro la possibilità di trovare, tracciare e misurare la conversazione che sto sviluppando attorno a loro—> se pensi solo a misurare insomma non so se ti è chiaro che quello di importante che succede non sta (solo) nei numeri
tassonomie delle community (si vede che ho fatto la bibliotecaria vero?). Che community è quella che si aggrega attorno ai MOOC? una community di pari? che logiche la governano? Sono i MOOC l’entità in cui, sia ben chiaro, a un intento apparentemente solo filantropico (ma dai ci credete davvero?) sottende un forte interesse di attrattività e competitività in ambito educational, vedremo ibridarsi le dinamiche di attivazione e stimolo delle community sviluppate in ambito aziendale con dinamiche di libertà assoluta e di evangelizzazione spontanea tra pari? Chi misura il successo di queste operazioni di community management? E che community management è possibile su questi gruppi enormi numericamente e globali?
Ci sono dei post che ti ispirano come fossero un libro intero e che metti sullo scaffale di Delicious in bella evidenza. Uno di questi è l’esaltante scoperta di questo martedì mattina ovvero il post Ripensare il concetto di community di Stefano Mizzella (che scopro ha frequentato il mio stesso phd ma dai!)
Lettura integrale consigliatissima, qui alcune cose che hanno colpito particolarmente la sottoscritta (che di lavoro porterebbe appunto il cappello di community manager)
Community e piattaforma non sono la stessa cosa e soprattutto per motivi di buonsenso facilmente intuibili (e anche un po’ più raffinati): un account aziendale sui social cosi non equivale-sostituisce la pagina web aziendale.
Ecosistema informativo e approccio olistico “Facebook, Twitter, YouTube, il blog aziendale, l’applicazione mobile o la community proprietaria sono parti attive del medesimo ecosistema. Che si tratti di una grande azienda o di una startup, è arrivato il momento di ragionare e agire in modo olistico, tenendo insieme non soltanto l’interno e l’esterno dell’azienda, ma arrivando a integrare il più possibile i singoli satelliti di cui è composta la presenza online di un brand.”
legame non è solo banale integrazione di canali ma di contenuti (una pervasive information architecture per citare un altro tema che mi appassiona di questi tempi) “Il concetto di community dovrebbe essere, quindi, percepito come un layer trasversale capace di tenere saldamente legati tra loro i diversi canali e, aspetto ancor più importante, i diversi obiettivi strategici associati ai singoli canali. Posizionare la bandierina del brand su una nuova piattaforma è un’operazione decisamente banale se confrontata con la necessità di individuare questo layer e costruire intorno ad esso le possibili esperienze di interazione tra band e utenti. Adottare un approccio community-centered significa ragionare per esperienze e non più per canali“
ruolo del community manager come figura strategica aziendale e diversa dal social media manager, che lavora con lo strategist ma fa anche analisi e monitoraggio dei dati. Tutto questo però non deve mai prescindere dal dialogo interno e dalla condivisione degli obiettivi comuni . “Senza questo filo diretto con l’azienda un community manager, indipendentemente dalla sua bravura, rischia di assomigliare a un addetto del call center costretto a lavorare senza ricevere istruzioni su cosa dire a chi è dall’altro capo della cornetta.”
ah a questo proposito la mia citazione preferita è “Potremmo dire che l’importanza (e la difficoltà) del ruolo del community manager sia direttamente proporzionale alla visione che l’azienda deicide di riversare nella community: se il brand è interessato a sviluppare azioni di marketing, lead generation, caring e innovazione, avrà bisogno di uno o più community manager in grado di offrire un contributo di valore verso ognuno di questi obiettivi. Al contrario, se l’interesse del brand si limita al rilancio di qualche sporadico comunicato stampa all’interno delle piattaforme social, sarà sufficiente delegare le attività a un ragazzo abbastanza bravo nel copia e incolla“
le abilità del community manager trascendono la conoscenza delle piattaforme e le competenze tecniche e sconfinano di più nelle scienze umane, in ambiti come la psicologia o la sociologia o come, dice uno dei commenti al post (@customerking), in figure tipo il netnografo o antropologo della rete
quali sono i KPI da considerare: bisogna andare oltre la logica quantitativa o quella dei media generalisti e ” adottare la metafora della community come layer sovrapposto significa andare al di là dei singoli KPI associati ai diversi canali e iniziare ad adottare metriche legate agli obiettivi della strategia più che alle performance singola piattaforma.” Sul tema fresca fresca la notizia che anche gli analytics di Google sembra stiano cambiando un po’
e questo ci porta al core dell’articolo ovvero il ripensamento generale del concetto di community e non solo “Puntando dunque sulla creazione di un nuovo possibile standard, anche il sistema di metriche dovrebbe poter derivare dal concetto di ecosistema del brand secondo cui i singoli dati, per generare valore e conoscenza, devono poter essere aggregati superando le barriere dei silos interni. Questo implica collaborazione e una fluidità nei processi”