Ma prima dell’anno 2 ci aspettano le forche caudine. Ecco che prodotti intellettuali dovrò difendere domani
16 Sunday Sep 2012
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inMa prima dell’anno 2 ci aspettano le forche caudine. Ecco che prodotti intellettuali dovrò difendere domani
06 Thursday Sep 2012
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inSto preparando un lavoretto per il passaggio al secondo anno di dottorato dall’ambizioso titolo “Design pattern per il community management” (il titolo non è mio, ma mi è stato suggerito da uno che ne sa a vagonate sui social-cosi). Si tratta di 4 interviste a community manager (lo so che 4 sono poche, ma è solo un esercizio ve l’ho detto) su alcuni temi sui quali mi sono chiesta: ma cosa farebbe un mio collega al mio posto?
Il lavoro è in fase di revisione, intanto anticipo le mappe concettuali, da me impropriamente chiamate mappe topiche in prima battuta (grazie @salvassa per la correzione). Per ingrandire le mappe cliccarci sopra, le mappe sono in modalità wikimap per cui editabili.
I punti su cui si è concentrato il mio interesse sono stati: la content creation e le strategie di engagement
Il crisis management
La valutazione dell’efficacia (KPI per il community management)
Ogni commento è benvenuto.
Grazie di cuore alle 4 persone che hanno dedicato un po’ del loro tempo a chiacchierare con me permettendomi la realizzazione di questo lavoro.
11 Monday Jun 2012
Posted phd, social media
inLunedì tempo di bilanci sulla settimana appena trascorsa. Tra le cose belle sicuramente la conferenza di Jenkins in questi giorni in tour italiano.
Ha parlato anche all’Università di Milano Bicocca con uno speech dal titolo How Content Gains Meaning and Value in the Era of Spreadable Media
Ecco cosa ho imparato:
Se pensiamo al content rimanda all’idea di qualcosa che è contenuto, adesso per il concetto di spreadable media non si può più pensare al contenuto in quest’accezione, breaking up the boundaries.
L’importante, si chiede Jenkins è il content o il design? La risposta è semplice: use.
Il lavoro da fare non è tanto sulla tecnologia, ma sulla cultura e l’uso che le persone fanno dei media, sulle cultural logics con cui le persone rispondono ai media.
Ecco allora che la sua narrazione ruota attorno queste 4 parole chiave:
1-TRANSMEDIA: vuole dire, in senso lato, across media, ovvero che relazione esiste tra piattaforme? generalmente legato al termine storytelling in realtà si situa più correttamente nell’ambito della user experience. Impressiona questo video che non conoscevo, un ipotetico TED2023 girato da Ridley Scott.
Il focus si sposta dallo storytelling come promozione del brand allo storytelling come modello creativo di creazione di storie. Ma le storie nei transmedia continuano e si contaminano e “transmedia storytelling is a process where integral elements of a fiction get dispersed sistematically across multiple delivery channels for the purpose of creating a unified and cooordinated entertainment experience”. Un esempio? Glee , con il riuso amatoriale delle canzoni.
2-CONTENT IS PARTICIPATORY: non pensiamo solo a esempi famosi come wikipedia ma anche a tutto il mondo delle fan fiction. Mi ha molto colpito un caso citato da Jenkins su una scuola dell’Indiana, all’interno della quale Wikipedia è bandita, ma i docenti la portano ugualmente in classe adottando una voce e discutendo sul miglioramento da apportarvi (e questo mi ricorda il recente caso degli studenti di Mirandola)
Tra gli aspetti più interessanti della participatory culture sicuramente le basse barriere di accesso e la facilità di engagement, “every reader is a potential writer”, “members believe their contributions matter” e si realizza una “informal mentorship”, modello molto interessante soprattutto per la didattica. Difatti, rileva Jenkins quanto sia profonda la contraddizione di coloro che mettono i computer nelle scuole e li disconnettono da ogni forma di cultura partecipativa in nome della sicurezza dei minori.
3-CONTENT IS REMIXABLE: su questo punto tra i più noti del pensiero di Jenkins e non solo basti pensare alle implicazioni sul copyright e sul nuovo concetto di proprietà intellettuale.
4-CONTENT IS SPREADABLE: in questo senso spreadable non è sovrapponibile al concetto di stickiness che implica un uso del mezzo maggiormente passivo. “Spreading media preserve culture” “if it does not spread is dead”. Con l’avvertenza che la circolazione e la distribuzione(spreading) sono due concetti e filosofie differenti, lo spreading impatta sulla viralità e rende le persone degli amplificatori, degli hub.
Appunti a margine:
Credits delle immagini @fabioserenelli
13 Sunday May 2012
Alcuni appunti sparsi e a caldo dal 6 summit Italiano di Architettura dell’informazione.
Dopo la giornata di workshop eccoci alla vera e propria conferenza, questa formula della 2 giorni mi piace molto (e i workshop, a parte il mio entusiasmo sfegatato per quello che ho seguito e che ho raccontato qui, devo dire che sono il sale della due giorni).
Quella che segue è una visione parzialissima e personalissima con quello che è piaciuto di più a me ma, visti i sentimenti di Twitter (#iias12), direi che più o meno rifletto un’opinione generale.
Tra le cose che mi porto a casa c’è sicuramente la scoperta di Claudia Busetto che mi insegna la relazione tra détour e una delle mie parole del cuore di quando facevo la bibliotecaria ovvero serendipity (e mi stupisce introducendomi al détour attraverso il Semaforo Blu di Rodari). Poi ci conquista con la metafora dello shopping sul genere Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere ovvero se un uomo va comprare un paio di pantaloni entra e compra un paio di pantaloni se una donna deve fare la stessa cosa (dubito che userebbe la parola pantaloni a favore di qualcosa di più tecnico tipo vorrei un paio di Capri) allora fa un giro che la porta alla meta (forse) attraverso un percorso assolutamente meno lineare (détour) perché l’obiettivo è l’esperienza.
Quale relazione con la serendipity? La serendipity è fatta di contesti e legami e può essere randomica, guidata o controllata (differenze tra le 3 nelle slides) Dopo una carrellata di esempi e servizi dal web (la maggior parte mi erano nuovi) ecco arrivare il core: non si tratta più di percorsi ma di cicli scanditi dal ritmo delle voglie dell’utente e lo scopo è la ricerca della progettazione di esperienze. (e cicli vs percorsi è uno dei leitmotiv di questo summit)
Le sue slides sono qui, enjoy!
Mi perdoneranno gli altri relatori se sorvolerò sui loro talk (e anche sul keynote ma non è un giudizio di valore, lì ero distratta per motivi personali) perchè troppo tecnici o poco rispondenti ai miei interessi di ricerca. In realtà due parole le voglio dire: qualcuno si è presentato riassumendo sostanzialmente un libro (e non si fa) ma è stato massacrato per l’infelice scelta del font (un comic sans!), qualcun altro magari anche preparato non ha proprio la dote del saper parlare in pubblico e fare slides, di altri ho apprezzato l’esposizione di casi studio interessanti (caso Fiat e caso Euclid) ma da cui per formazione ho saputo trarre pochi spunti.
Però ho capito una cosa: che il live wall of tweets è una super arma a doppio taglio soprattutto se trovi gente che twitta come dei pazzi senza peli sulla lingua (e quanto mi sono divertita a twittare non ne avete idea!)
Tormentoni della serie il popolo-della-rete-non-perdona:
il comic sans scelto da ben due relatori
Flavia utente tipo scelto da Doralab che è diventata un fake di Twitter che ci ha fatto morire
Poi è arrivato Badaloni (ormai sono una sua groupie) con un talk superbo a unanime consenso keynote morale dell’edizione. Oltre a essere un uomo colto è anche estremamente performante e sulle note di Iannacci (Quelli che…oh yeah!) ha delineato la sua fenomenologia dell’ignoranza digitale contro gli zombie. Spero vivamente che appaia in rete qualche video del suo speech da conservare a futura memoria di come trasformare una platea di due giorni di conferenza in un gruppo di ultrà che se la ghignano come se fossero a Zelig.
Dopo i nativi digitali (che per quanto me ne occupi inizio a non poterne più di questa definizione) ecco arrivare gli zombie digitali ovvero quelli che con la tecnologia c’azzeccano quanto meno poco (oh yeah!)
Gli zombie sono in mezzo a noi e fanno danni perchè dovrebbero essere morti ma sono vivi. Per fortuna possiamo riconoscerli e possiamo decidere se ucciderli oppure guarirli dando loro una chance di vita digitale (e se non vi è ancora chiaro ciò che li rende zombie è proprio l’ignoranza digitale che li caratterizza)
Ecco allora 4 punti chiave da tenere in mente per non trasformarci noi in zombie (e più avanti anche le regole su come guarirli):
-internet è un luogo e non un mezzo, è un posto che si fa e non si usa
-internet è un luogo pervasivo e non esiste un ecosistema digitale ma solo un ecosistema tout-court
-internet è un luogo in cui i limiti spazio temporali non possono essere usati come limite fisico come accadeva nelle narrazioni basate sul postulato narrativo delle finitezza
-internet non è una rete di documenti ma una rete di persone (bibliotecari vi prego tatuatevelo in fronte!), una personificazione collettiva di una rappresentazione totemica (questo non l’ho ben capito ma penso che faccia figo e prima o poi lo userò per darmi un tono)
Insomma ogni nodo della rete è un’entità dialogante e la struttura della comunicazione è reticolare. Questo cambiamento non è banale e apre tutto un filone di studi e indagini che potrebbe/dovrebbe interessare anche chi si occupa di sociologia.
Ma vi avevo promesso i punti per uccidere gli zombie, all’insegna dell’onestà intellettuale e della fiducia come base fondante dell’etica nella comunicazione reticolare:
-essere e non farci
-lasciarsi cambiare perchè la rete è un’infrastruttura di dialogo (bibliotecari, per favore, se questo non lo volete tatuare almeno segnatevelo per bene)
–testimoniare e non rappresentare perchè chiunque può connettere i punti trovando percorsi di senso
– scambiare fiducia ovvero abbandonare la domanda come posso attirare la tua attenzione e sostituirla con come posso fare per meritare la tua fiducia?
Disponibili qui le slides (se vi siete persi il talk però dicono poco)
Insomma: la prossima volta che esco con Flavia se vedo uno zombie lo converto diretto senza passare dal détour 🙂
Update: 05/07/12 qui il video imperdibile di Badaloni http://vimeo.com/45055601 e qui tutti gli altri http://vimeo.com/italianiasummit
12 Saturday May 2012
Inizio con questo articolo la mia collaborazione con Doppiozero chiamata a inserirmi in un dibattito sul futuro del libro in occasione del Salone di Torino.
Versione impaginata figa qui http://www.doppiozero.com/materiali/speciali/ad-ogni-lettore-il-suo-e-reader
10 Thursday May 2012
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inLo so che sono di innamoramenti intellettuali facili, ma quello di oggi è stato davvero un colpo di fulmine! Ho assistito a un workshop del Vi summit di Architettura dell’informazione tenuto da Federico Badaloni, architetto dell’informazione per il gruppo Repubblica L’Espresso (qui il suo blog) questo hashtag #iias12 per chi vuole seguire conferenza e live qui http://www.ctu.unimi.it/videoflash/live/live_streaming.html)
Prima considerazione personale: ma porcaccia la miseriaccia questo intervento su tagging e tassonomie non lo potevo ascoltare prima di consegnare il mio primo lavoro di dottorato sul social tagging? Sgrunt! 😦
Per il resto butto giù un po’ di appunti e idee sparse in attesa di sentire domani l’intervento di Badaloni alla conferenza.
Abbiamo iniziato con un gioco a squadre, ogni squadra ha scelto un osservatore partecipante che Badaloni ha istruito e ci hanno dato in mano un articolo e una foto (la foto era questa) dicendoci: ok taggateli! E da lì, con questo escamotage, abbiamo iniziato a entrare nel mondo dei tag.
L’immagine che Badaloni ci consegna dell’organizzazione classica dell’informazione è quella di una cassettiera che noi dobbiamo scambiare con un mattone potenziato ovvero un lego. La metafora del mattone ci dice che ci sono più facce da considerare (e non cassetti chiusi) e il mattone che diventa qualcos’altro è il mattoncino per eccellenza ovvero il Lego che ci rimanda all’idea di info che si costruisce, combina etc.
Ah, volete sapere come è finito il gioco? beh in un certo senso abbiamo perso tutti perchè Badaloni non ci ha detto per che scopo taggare e senza sapere il contesto il tagging non è fattibile. Ma non solo; la conoscenza del contesto è fondamentale perchè il tagging è solo un item di un cluster informativo più ampio che è una storia.
Allora a quali domande deve rispondere un tag? Principalmente due: cosa è o cosa significa. Potenzialmente nessuna descrizione è sbagliata ma è importante chiedersi sempre: quali sono i tag di cui ho bisogno? Il fundamentum divisionis è fondamentale ovvero non è possibile fare coincidere più criteri tassonomici in uno stesso articolo ops tag. Lo scopo non è dare tanti più tag possibili ma quelli pertinenti allo scopo che mi sono prefisso. Pertanto il tagging, così come ce lo racconta Badaloni nella sua esperienza giornalistica, non è “libero” ma redazionale.
Questa che stiamo andando raccontando non è solo una pippa teorico-tassonomica da malati di ordine tipo quelli che hanno le polo nell’armadio ordinate per gradazioni di colore, ma ha uno scopo ben preciso.
In un contesto in cui un item ha una vita brevissima, una corretta taggatura permette di allungare la vita di un cluster di contenuti organizzandoli in una storia che duri nel tempo. Per questo motivo scegliendo i tag dobbiamo muoverci con uno sguardo al passato ma anche al futuro. I tag danno aria, fanno volare un item. La caccia alle storia che facciamo noi uomini ci consuma energie e dobbiamo valutare il dispendio energetico e il valore nutrizionale della storia che troviamo (ok dai lo avete riconosicuto vero l’information foraging?). Insomma i tag mettono gli Omega3 a un item informativo 🙂
Ma attenzione: l’unità minima del giornalismo digitale cessa di essere l’articolo per diventare un cluster che non è solo una somma di item ma la somma delle relazioni tra gli item (che generano le storie). La figura matematica che ci viene in aiuto è quella del grafo. Lo spazio non è bidimensionale come nella narrazione lineare tradizionale ma tridimensionale ed un grafo è composto di nodi e archi che sono i cammini e gli snodi delle nostre storie.
Qui mi sono distratta a pensare come FRBR ovvero la grande rivoluzione della biblioteconomia sia assolutamente sottovalutata e non capita da una professionalità che ha un reale e urgente bisogno di ritrovare un senso al proprio agire e darsi modelli e scopi nuovi-Chiusa parentesi-
Infine. dopo una serie di suggestioni e spunti non meno interessanti sulla liquidità delle tassonomie, sui bouquet e sulla resilienza, eccoci arrivare all’ora di pranzo con il nostro take-away ovvero un piccolo vademecum per taggare:
Il tutto condito da proprietà lessicale rara (e una notevole dose di simpatia). Verso la fine alla domanda di un collega che chiedeva la relazione tra #Twitter e il tag redazionale, Badaloni ha citato l’esempio del tagging e della letteratura per ragazzi. Mi sono scese due lacrimucce di gioia 🙂
Update: Ed ecco le slides
09 Wednesday May 2012